Spazio. Vita. Arte. Queste tre parole accomunano il lavoro dell’artista statunitense Robert Rauschenberg, morto il 2008, il cui frutto più significativo è rappresentato dall’esigenza di portare la realtà quotidiana nell’opera d’arte. ‘’La pittura è legata all’arte come alla vita. Io cerco di agire nello spazio che le separa.’’ Robert Rauschenberg agisce sempre, come lui stesso sottolinea, in una sorta di gap tra vita e arte. Non tanto che l’arte e la vita siano ai poli opposti ma che tra di esse ci sia un continuo e che di conseguenza lo spazio tra esse non sia vuoto ma il fulcro dove tutto accade. Nient’altro che l’essenza della vita. Dove quello di più importante succede in background. Rispetto alla precedente generazione, gli artisti di metà Novecento lavorano valendosi della raccolta di oggetti di scarto, il loro sguardo è attratto dal basso. Ciò era possibile perché la società stava cambiando definendosi società del consumo. Proviamo a dare una sbirciata al lavoro di Rauschenberg.
Si potrebbe pensare subito: ‘’Ma cosa sto guardando? Un assemblaggio di cose a caso?’’. E non vi sbagliereste affatto. Robert Rauschenberg realizzava delle vere e proprie combinazioni di oggetti utilizzando tutto ciò che trovava. Gli elementi impiegati vanno da oggetti di uso quotidiano a semplici frammenti, raccolti nelle case di amici, per le strade o nelle discariche. La gamma comprende: scatole di cartone, pezzi di legno, tessuto, materassi, lamiere, vetro, specchi, perfino animali imbalsamati. Generazione 1925, nasce a Port Arthur in Texas. Dopo aver studiato farmacologia, e arruolato nella marina statunitense e aver lavorato in un ospedale psichiatrico militare, ha deciso di fare l’artista, diventando una delle personalità più importanti e rivoluzionarie dell’arte contemporanea del dopoguerra e di sempre. Le sue prime opere rappresentano il big bang di quella che poi diventerà la Pop Art Americana. I ‘’combines’’ – questo il termine con cui lo stesso artista definisce il suo lavoro –, nascono da esigenze concettuali e ‘’sono la chiara dimostrazione di come questo artista non abbia mai lasciato nulla d’intentato e intoccato. Ogni cosa, ogni immagine sono uno spunto per inventarsi un quadro, una scultura o, meglio, uno ‘’scultadro’’ visto che le sue ingegnose combinazioni sono sempre un ibrido fra l’opera d’arte tridimensionale e quella bidimensionale.’’
Bed. Letto. Olio e matita su cuscino, trapunta e lenzuolo su un supporto di legno. L’opera più famosa o, meglio, la più ironica di Rauschenberg. C’è qualcosa di personale, è qui che l’uomo passa un terzo della sua vita, ma anche assurdo in questo combines. Su letto disfatto e un cuscino dello stesso Rauschenberg, l’artista stende il colore a richiamare l’action painting di Pollock. Tutto incorniciato e appeso al muro. Così questo letto si sposta dalla vita all’arte, fulcro di tutto il suo lavoro.
L’opera Winter Pool è la prima di Rauschenberg a entrare nella collezione del MET. È composta da due tele separate (altezza uomo). Una scala di legno colma lo spazio tra loro e le sue gambe si estendono fino al pavimento. Le composizioni di entrambe le tele sono costituite da griglie sincopate formate da rettangoli di pittura e oggetti ritrovati: polsini di camicia, un fazzoletto, lettere di poster e riproduzioni fotografiche. Rompe la nozione rinascimentale secondo cui un dipinto mostra un mondo ideale dietro la superficie della tela.
Forse i ‘’combines’’ possono continuare a provocarci un certo disgusto ma proprio per questo il lavoro di Rauschenberg è ancora oggi importante e coraggioso. L’artista ci sta quasi urlando ma vi ricordate ancora di guardarvi attorno. Essi erano ‘’esperimenti sull’origine della cialtronaggine, ma anche sull’origine del mondo che ci circonda, fatto di cose, aggeggi, ammennicoli vari, che tolleriamo se li troviamo sul cassettone di casa nostra ma che disprezziamo se li vediamo esposti in un museo’’ come esprime Francesco Bonami nel suo saggio Lo potevo fare anch’io. Ogni cosa, anche le più comuni, hanno un valore, una propria anima: basta provare a capirle e rispettarle. E qual è la forma di maggior rispetto per una cosa, se non quella di farla diventare opera d’arte? Bisogna pur precisare però che alla base dell’assemblaggio di oggetti del quotidiano e immagini non vi sono teorie particolari, ma il bisogno di lavorare con una superficie e materiali nuovi. Il desiderio di vedere il quadro uscire all’infuori, a invadere lo spazio.
di Alessandra Carmone – Fotografie: rauschenbergfoundation.org
Immagine in copertina: Rauschenberg mentre lavora su un disegno trasferito a solvente nel suo studio di Front Street, New York, 1958. L’opera sullo sfondo è Senza titolo (1955). Foto di Jasper Johns (dettaglio)