Irresistibilmente affascinato dalla lettura dell’Iliade e completamente immerso in una dimensione che sta a metà strada tra l’onirico e l’oggettività del reale, Heinrich Schliemann, archeologo “dilettante”, si persuade che la narrazione di Omero non fosse solo un esercizio poetico. È così che, seguendo alla lettera le indicazioni del testo greco, individua, scava e finalmente trova nella collina dell’Hissarlik, in Turchia, la mitica città che tutti gli studiosi ritenevano fosse solo una fantasia: Troia. Ad onor del vero bisogna rammentare che l’individuazione del sito è da accreditare al viceconsole statunitense in Turchia, Frank Calvert, il quale acquistò il terreno su cui Schliemann inizia a scavare a partire dal 1870. Probabilmente questo è il racconto più emblematico riguardante la scoperta di cose e luoghi ritenuti da tutti e da sempre solo un miraggio. Ciò che indubbiamente bisogna imparare da Schliemann, e non solo da lui, è una cosa che ripetiamo con le parole dello scrittore e divulgatore Massimo Polidoro: «Inseguire misteri e tentare di trovare a essi risposte è un’avventura che ci permette ogni volta di ampliare un po’ di più il perimetro di ciò che sappiamo o che crediamo di sapere sul mondo che ci circonda». Proprio lo stesso Polidoro è autore di un Atlante dei luoghi misteriosi dell’antichità, pubblicato da Bompiani – Giunti Editore nel 2020, e «dedicato a luoghi e fatti non solo misteriosi ma che appartengono all’antichità, a un tempo cioè talmente remoto di cui nessuna persona al mondo può conservare memoria e dove la ricerca storica può arrivare solo parzialmente, se non addirittura arrendersi del tutto». Le splendide illustrazioni di Francesco Bongiorni – di cui è qui possibile ammirare una piccola selezione – accompagnano con maestria i racconti dell’Atlante, stimolando l’immaginazione, e spingendoci verso quel territorio in cui si inseguono leggende apparentemente inconsistenti che confinano con la storia.
Tra i luoghi più misteriosi al mondo spicca Stonehenge col suo circolo di pietra nella piana di Salisbury, nel sud dell’Inghilterra. Probabilmente non sapremo mai chi ha costruito questa struttura. Le recenti datazioni col radiocarbonio portano a 4500 anni fa l’origine del cromlech, quindi molto prima dei Romani, dei Druidi o del leggendario Artù. Scavi del 2020 hanno portato alla luce un altro luogo molto simile a Stonehenge, chiamato Waun Mawn, dal quale proverrebbero alcune pietre che oggi si trovano nel più noto sito.
Non sappiamo nemmeno come fosse di preciso il Colosso di Rodi poiché non ne esistono raffigurazioni, ma è plausibile immaginarlo secondo i canoni dell’arte greca classica. Potrebbe però esistere una copia al Museo Archeologico di Civitavecchia dove è esposta una statua di Apollo, interpretata come la replica del Colosso di Rodi: gli ultimissimi studi hanno rilevato una grande somiglianza tra questo Apollo e quello conservato nel Museo di Rodi, identificato come il dio Helios. Non si sa se reggesse una fiaccola o una lancia ma è assai probabile che sul capo avesse la tipica raggiera rappresentante il dio Sole. Fu posizionato all’ingresso del porto nel 282 a.C. con tutta la sua magnificenza, i suoi imponenti trentadue metri di altezza e il rivestimento in bronzo che al sole lo faceva scintillare, rendendolo visibile a grandi distanze. Un terremoto lo buttò già dopo 66 anni, rimanendo semisommerso per secoli. Per timore che fosse stato lo stesso dio Helios a farlo crollare, gli abitanti non vollero più ricostruirlo.
Meno misteriosa ma decisamente affascinante è la vicenda di Petra, la capitale dei Nabatei nascosta tra le montagne del Wadi Musa, nella regione pietrosa che i Romani chiamavano Arabia Petrea. Petra è un fantastico tesoro restituito all’umanità nel 1812 dopo secoli di oblìo iniziato dapprima con l’imperatore Traiano, che nel 106 d.C. spostò le rotte commerciali, e poi proseguito nel Medioevo quando fu svuotata dai terremoti ed evitata dai nomadi che la consideravano infestata dai demoni. La scoperta si deve allo svizzero Johann Ludwig Burckhardt il quale, per poter esplorare il territorio, dovette districarsi tra beduini e predatori, studiare l’arabo, convertirsi all’Islam, cambiare nome in Shaikh Ibrahim ibn Abdallah ed infilarsi in un canyon: l’angusta spaccatura del Siq. Ma alla fine sollevò il velo del tempo su un luogo incantato che oggi è riconosciuto come una delle nuove sette meraviglie del mondo.
Altro rebus della storia è rappresentato dai giardini pensili di Babilonia: si identificano come un luogo meraviglioso, ma nessuno sa dove si trovassero né addirittura se siano mai esistiti! I testi originali degli autori che ne scrissero (Ctèsia di Cnido, Clitarco e Onesicrito di Astipalea), tra il V e il IV secolo a.C., non ci sono giunti in modo diretto ma attraverso autori più tardi che poterono consultarli. Probabilmente i giardini non furono realizzati da Nabucodonosor ma dal re Sennacherib nel VII secolo a.C.; e non si trovavano a Babilonia ma a Ninive: lo sostiene l’assirologa Stephanie Dalley la quale ritiene che col passare dei secoli le due città sarebbero state confuse. Lo proverebbero alcuni tratti di antichi acquedotti marchiati da “Sennacherib re del mondo”, un bassorilievo assiro di un palazzo circondato da vegetazione rigogliosa e alimentato da un acquedotto.
Maijishan, che significa “montagna pagliaio”, è invece una meraviglia dell’operosità umana: sono centonovantaquattro grotte scavate tra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C. nella provincia cinese del Gansu. Contengono oltre settemiladuecento sculture di Buddah accompagnato da numerosi bodhisattva, ossia gli individui che hanno raggiunto l’illuminazione ma decidono di rinunciare al nirvana per poter guidare gli uomini verso la saggezza.
Molto suggestiva è la vicenda dell’Armata perduta che ci consegna una domanda: può un intero esercito essere ingoiato dalla sabbia del deserto? Sembra di sì, a leggere Erodoto che nel III libro delle sue Storie narra un fatto riferitogli dagli indigeni: “I Persiani, mandati a combattere contro gli Ammonii arrivarono fino all’oasi chiamata Isola dei Beati, ma a partire da qui nessuno è più in grado di dire nulla sui soldati… Mentre stavano prendendo il rancio di mezzogiorno cominciò a soffiare un vento insolitamente tremendo che, trasportando cumuli di sabbia, li seppellì”. Siamo nel 525 a.C. circa. L’esercito in questione è quello di Cambise II, figlio di Ciro il Grande. Il temibile vento è il khamsin, che spara agli occhi milioni di proiettili di granelli di sabbia, facendo calare la visibilità a due metri e rendendo il cielo viola. Lo scopo della missione è ridurre in schiavitù gli Ammoni, cioè gli abitanti di quella che oggi è l’oasi di Siwa nel deserto libico-nubiano, forse per controllare il commercio del silphium, e incendiare l’oracolo di Zeus. L’armata è composta di 50.000 uomini, ma qui probabilmente Erodoto ha esagerato: perché tanti soldati per conquistare una pacifica oasi? Gli storici concordano nel ritenere autentico questo evento, sebbene in più di duemila anni nessuno abbia trovato tracce nel deserto, salvo alcune punte di freccia, pugnali e bracciali di fattura persiana rinvenuti durante una spedizione archeologica condotta nel 2000 dai fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni. Essi ritengono che Cambise per raggiungere Siwa non abbia seguito la “via delle oasi”, poiché queste erano controllate dagli Egizi, ma abbia preferito seguire un percorso meno bellico sebbene più lungo. In tal caso si pone però il problema del rifornimento idrico, che potrebbe essere spiegato con la presenza di fonti di approvvigionamento lungo il cammino, fra cui la collina di Abu Ballas dove nel 1917 sono state rinvenute circa 400 anfore. Inoltre, la scoperta di una profonda fossa con centinaia di ossa umane reclama ricerche più approfondite per sfidare un mistero che la sabbia del deserto continua a custodire.
Rimanendo nel continente africano c’è un mistero narrativamente coinvolgente, ma davvero poco probabile: è l’avvistamento dello strano animale denominato Mokele Mbembe. Qualcuno sostiene di aver visto nel Congo un mostro che sarebbe un incrocio tra un elefante, un ippopotamo e un leone. Un mito che di tanto in tanto riaffiora pur in assenza di prove. Facciamo un salto nella sorprendente abilità tecnologica dell’antica Grecia: sui fondali di un’isoletta situata tra Creta e il Peloponneso nel 1900 fu rinvenuto il relitto di un’antichissima nave, risalente al I secolo a.C., con vari reperti fra cui un misterioso strumento nautico – ribattezzato meccanismo di Anticitera – costituito di vari ingranaggi. Studi effettuati una quarantina di anni fa lo hanno catalogato come calcolatore astronomico. Un’attestazione della inaspettata capacità tecnologica per quei tempi. Il mortale cancello di Plutone è, finalmente, un mistero risolto. Luogo di culto dedicato al dio romano degli inferi nell’antica città di Hierapolis, oggi in Turchia, venne descritto da Strabone, da Plinio e da Dione Cassio in modo preciso: i tori e gli uccelli che vi si avvicinavano cadevano a terra morti. Si è scoperto il motivo: non era il letale respiro di Plutone ad ucciderli bensì le esalazioni di anidride carbonica provenienti dalla fessura sismica presente nel sottosuolo di quel sito.
Sperduta nel Pacifico, a 3600 chilometri dalle coste cilene, l’Isola di Pasqua – Rapa Nui, custodisce il mistero dei suoi antichi abitatori i quali, a partire dall’anno Mille, senza apparenti strumenti tecnici adeguati, realizzarono un migliaio di moai, statue colossali alte in media cinque metri per quattordici tonnellate ciascuna. Il significato è a noi tuttora oscuro. Una cosa può essere affermata: molti fatti misteriosi del passato sono stati oggi disvelati grazie alle conoscenze scientifiche acquisite e alle fonti disponibili; ma spesso, per mancanza di queste ultime, ci troviamo di fronte a luoghi, manufatti e leggende che perpetuano un enigma e rinnovano le nostre domande. A ben vedere, però, fino a quando continueremo a porci delle domande, a stimolare la curiosità, a indagare sui luoghi e sulle civiltà che vi si sono insediate, possiamo socraticamente sapere di non sapere e, pertanto, trovare ispirazione per scoprire, sperimentare e proseguire il cammino.
Fabio Lagonia
Illustrazioni di Francesco Bongiorni: francescobongiorni.com @francescobongiorni