Come vivono le api? Davvero rischiano l’estinzione? Si può giocare a far centro in un canestro con una pigna? Possiamo seriamente sentire parlare un albero? E un picchio come viene in soccorso all’equilibrio naturale? Perché se un luogo qualunque viene abbandonato è un disastro su molti fronti? Un poeta può davvero ancora “servire” a qualcosa e ispirare un artista? Tutte queste domande non restano senza risposta se si percorre a passi lenti un luogo d’eccezione che si trova in Calabria, nel comune di Taverna, ed è il MABOS – Museo d’Arte del Bosco della Sila.
Il progetto del museo silano ideato da Mario Talarico, ha per sua natura e come missione una ricerca verace, profonda e sincera: insegnare a saper vedere e raccontare ciò che ci tiene legati a doppio filo con l’ambiente e con il territorio. Perché in fondo – lo sostiene lo stesso Talarico – “esseri umani ed esseri viventi siamo tutto insieme con la Natura”.
È in luoghi come questi che trovano spazio le “ossessioni” del nostro tempo, ed è qui che attraverso il linguaggio unico e universale dell’arte, si innescano pensieri sulle questioni, soprattutto ambientali, più intricate dei nostri giorni, un luogo di discussione, tutto sommato, sulla condizione attuale caratterizzata da una verticale mancanza di senso critico e di responsabilità verso l’ambiente. È di pochi anni, non a caso, che sono entrate nel vocabolario parole nuove come solastalgia, ovvero quel sentimento di spleen, malessere, percezione di vuoto verso un ambiente naturale sempre più compromesso. Ma non solo. Tra i percorsi artistici allestiti negli spazi esterni, che coprono un’area per un totale di 30.000 metri quadrati, sono nate anche riflessioni sul senso di smarrimento generale, sulla necessità di trovare una dimensione altra, un luogo altro, e anche sul concetto di limite e confine, quest’ultimo innescato in special modo dai grandi rivolgimenti geopolitici degli ultimi tempi.
Siamo di fronte a un posto dove – come già nei primi del ‘900 era accaduto a Monte Verità con i dissidenti delle due guerre – sembra possibile ricreare un mondo diverso, che sia più in armonia con il tutto, un avamposto seppure a margine dell’Italia, dove si discute, si concepiscono nuove idee e si producono cambiamenti, lenti ma inesorabili per un territorio come questo affamato di Bellezza. Qui in questi ettari di bosco inviolato nel Sud Italia, in un angolo “sacro” della Sila, ogni domanda cerca una risposta, e forse è solo in luoghi come questi che si può sperare di trovarla.
Non a caso gli interrogativi e il bisogno di dare spiegazioni a molte questioni cruciali della nostra era digitale, sono nate dopo le varie residenze che si sono succedute nei cinque anni di vita del MABOS. Dal 2017 a oggi, dal progetto Wood Sculpture Contest che ha visto la partecipazioni di artisti tra cui Francesco Barillaro, Nicola Bevacqua, alle quattro residenze SENSE (Sacred Forms, Achille e Nigra, Fresco e Fucina d’Ingegno), i tre eventi “La natura dell’arte” curati da Andrea La Porta in cui Laura Stancanelli ha realizzato la performance “Natura Umana Due”, dalle iniziative in programma come Camera Oscura fino all’ultima (in termini cronologici) residenza curata dal critico e storico dell’arte, Alberto Dambruoso per l’artista Antonio Tropiano – il fermento che ha connotato (e ancora connota) questo grande “ambizioso” progetto non si ferma, nonostante manchi il supporto pubblico (non necessariamente richiesto) a finanziare le proposte. Si parla infatti, tra le altre, della volontà di creare una “passeggiata sonora” tra gli incanti del Bosco.
Un crocevia culturale come il MABOS dove tra performance (anche quella di Franco Arminio nell’estate 2022), installazioni affascinanti, casette sospese, momenti ludici, rimandi alla questione nodale della migrazione, non poteva ancora passare sotto silenzio. Il pretesto simbolico per parlarne più diffusamente ce lo ha offerto la residenza di Antonio Tropiano (classe 1976) che ha prodotto in conclusione del periodo di esperimento condiviso, un lavoro non prettamente didascalico sulle parole di Franco Costabile, un poeta calabrese soltanto negli ultimi anni seriamente riconosciuto, il quale con la collaborazione dell’artista fotografo Mario Giacomelli ha visto nascere l’opera poetico-fotografica “Il canto dei nuovi migranti”. Con l’intento di rileggere quest’opera in chiave contemporanea si è attivato un progetto, #restoalsud guidato dall’artista Angelo Gallo, con le scuole del territorio e si sta avviando una pubblicazione.
Molte altre sono state le iniziative e molte sono in programma per i prossimi mesi ma ciò che resta inequivocabile di questo insolito museo è la funzione di attrattore culturale che ha fatto dell’impegno sul tema essere umano-natura la propria cifra esistenziale e curatoriale.
di Anna De Fazio Siciliano – critico e storica dell’arte