Una meravigliosa mostra, visitabile dal 6 settembre fino all’ 8 gennaio 2023 alle Gallerie d’Italia di Vicenza, museo di Intesa Sanpaolo, ci conduce in un affascinante viaggio attorno al mondo: è quello realizzato da Antonio Pigafetta, navigatore e scrittore vicentino che dal 1519 al 1522 partecipò alla prima circumnavigazione del globo terrestre guidata da Ferdinando Magellano e conclusa, dopo la morte di questi, da Juan Sebastián Elcano.
La mostra, curata da Valeria Cafà e Andrea Canova, è intitolata Pigafetta e la prima navigazione attorno al mondo. ‘Non si farà mai più tal viaggio’, ed è realizzata per celebrare i 500 anni da quell’importante evento. Un’iniziativa culturale prestigiosa patrocinata dal Comune di Vicenza, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dal Comitato Nazionale dedicato a Pigafetta. Proprio attorno alla figura di quest’ultimo si è costituito il Comitato Nazionale denominato “500 anni fa il primo viaggio attorno al mondo: Antonio Pigafetta, vicentino, cronista della spedizione di Magellano”, con l’approvazione del Ministero della Cultura, che riunisce studiosi e istituzioni per far conoscere la figura di Pigafetta e indagare l’eredità dell’impresa di cui fu protagonista.
L’apertura dell’esposizione ricorda la tappa conclusiva della spedizione con il ritorno della nave Victoria in Spagna, avvenuto il 6 settembre 1522, segnando uno dei momenti più importanti delle celebrazioni che la città di Vicenza dedica sin dal 2019 al viaggio di Magellano-Pigafetta.
La mostra ha come protagonista il manoscritto della Relazione del primo viaggio attorno al mondo conservato nella Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano – dove fu ritrovato da Carlo Amoretti nel 1797, dopo essere stato dato per perduto -, e considerato il più antico testimone della versione originale redatta da Antonio Pigafetta. Tale documento, diventato testo di riferimento ai nostri giorni, è affiancato dalla pregevole carta nautica delle Indie e delle Molucche di Nuño Garcia de Toreno (1522), proveniente dai Musei Reali di Torino, da esemplari di cartografia del XV e XVI secolo, antichi volumi a stampa e opere selezionate dalle raccolte della Biblioteca civica Bertoliana, del Museo Diocesano di Vicenza, dalla Fondazione Musei Civici di Veneziae dai Musei Civici di Reggio Emilia.
In mostra oggetti particolari, come il mantello in pelle di guanaco, animale descritto da Pigafetta, sconosciuto agli europei, e preziosi materiali cartografici che permettono di ricostruire la conoscenza del mondo prima, durante e dopo il viaggio, offrendo spunti per riflettere sulla straordinaria ricchezza di informazioni che la Relazione di Pigafetta ha consegnato all’umanità.
Il mondo circumnavigato di Antonio Pigafetta
di Andrea Canova
La prima circumnavigazione del mondo, avviata sotto il comando di Ferdinando Magellano nel settembre del 1519 e compiuta – dopo la morte di Magellano nelle Filippine il 27 aprile 1521 – da Juan Sebastián Elcano l’8 settembre 1522, si colloca nella nostra memoria scolastica entro un paragrafo dedicato alle “grandi scoperte geografiche”, in coabitazione con i nomi di altri navigatori, e soprattutto con il protagonista assoluto Cristoforo Colombo. Sebbene la storia delle esplorazioni europee sia un processo più lungo e articolato di quanto ricordiamo abitualmente, è vero che dalla metà del Quattrocento ai primi decenni del Cinquecento l’intensità e l’importanza dei viaggi di scoperta aumentano e che, tra la scoperta dell’America nel 1492 e il rientro in Spagna della Victoria, unica nave di Magellano a fare ritorno nel 1522, si racchiude una stagione eccezionale, che unisce le novità atlantiche dell’America con il favoloso Oriente asiatico, traboccante di costose spezie, svelando l’insospettato mare che li separa: il Pacifico.
Un viaggio straordinario, che ha finito per trasfigurarsi in un’avventura leggendaria di pionieri della conoscenza. Tuttavia la sua valutazione ci pone davanti un quadro più complesso, e non si tratta solo di smentire il vecchio equivoco per cui la spedizione avrebbe dimostrato che la Terra è rotonda. Si tratta piuttosto di mettere in chiaro che il portoghese Magellano riuscì a convincere il re di Spagna e futuro imperatore Carlo V e altri finanziatori spagnoli a sostenere un’impresa rischiosa e costosa per trovare una rotta che conducesse alle Molucche evitando quella atlantico-indiana controllata dai rivali portoghesi. Le Molucche, allora chiamate isole delle Spezie, erano la meta, perché solo lì nascevano i chiodi di garofano, che in Europa valevano oro. Il movente primo dei finanziatori era dunque l’avidità, un’avidità in grado di convincere gli spagnoli a dare fiducia a un portoghese, creando un equipaggio la cui miscela provocò ammutinamenti e ostilità di ogni genere.
Nel tempo, si è passati da una visione eroica della scoperta a una presa di coscienza più critica, che ha tratto i suoi motivi dalla voce dei nativi e dagli studi sul colonialismo, ma che ha avuto e continua ad avere i suoi eccessi. Ci si può chiedere, allora, come salvare le ragioni dell’etica e quelle della storia; e proprio la coscienza storica sta all’origine di questa mostra. In una delle sale che la ospitano, alcuni affreschi barocchi rappresentano i continenti secondo una gerarchia allegorica nettamente eurocentrica: tra le scene dipinte da Giuseppe Alberti si distingue anche lo Sbarco di Hernán Cortés in Messico. Sopra il camino, nel tardo Settecento fu aggiunto un monocromo di Francesco Lorenzi dal soggetto coerente: La Spagna riceve tributi dall’America. Tale asserita e fittizia superiorità morale del continente più “evoluto” ha radici antiche, che vanno spiegate e non cancellate. Bisogna perciò avvicinarsi a quegli eventi interrogando imparzialmente i testimoni, e per noi Antonio Pigafetta è un testimone insostituibile.
Ignoriamo l’anno di nascita di Pigafetta, ma sappiamo che apparteneva a una ragguardevole famiglia di Vicenza e che presumibilmente aveva ricevuto una buona educazione umanistica. Protetto di Francesco Chiericati, ecclesiastico vicentino molto attivo nella diplomazia papale, alla fine del 1518 si reca con lui alla corte di Spagna. Là Pigafetta ha modo di entrare nelle simpatie di Magellano; ottiene quindi di essere imbarcatocome uomo di fiducia dell’ammiraglio, cui rimane fedele anche dopo la morte, ed è uno dei diciotto superstiti che rientrano in Spagna nel settembre del 1522. Tra il 1523 e il 1524, scrive un libro sulla circumnavigazione, che oggi è generalmente noto con il titolo moderno di Relazione del primo viaggio attorno al mondo. Esistono anche resoconti di altri partecipanti alla spedizione, ma sono rapporti stringati e contengono perlopiù dati tecnici relativi alla navigazione. La Relazione è invece un libro vero e proprio, che obbedisce alle norme tipiche del genere letterario. Ed è l’autore stesso a metterci sull’avviso quando scrive di aver deciso di partire “avendo […] avuto gran noti sia per molti libri letti” (p. 159). Inoltre ancora lui ci dice di aver tenuto quotidianamente un diario (p. 352), che però non ci è giunto.
Possiamo quindi leggere solo la Relazione, che alcune lettere di Pigafetta ai Gonzaga ci informano essere stata composta tra il 1523 e il 1524, come s’è accennato. Qui sta un punto fondamentale: Pigafetta non è un navigatore di professione, è piuttosto un intellettuale, portatore di un punto di vista più complesso, tra esperienza e racconto. Ma la Relazione è affidabile? Se consideriamo l’ormai plurisecolare bibliografia critica siamo costretti ad ammetterne la sostanziale attendibilità. Numerosissimi riscontri confermano le informazioni messe in carta da Pigafetta e spicca in particolare la sua attenzione per le lingue esotiche. Addirittura Pigafetta allestisce quattro vocabolari che i moderni glottologi hanno verificato essere in larghissima misura corretti. Il vocabolario brasiliano (otto voci), quelli patagonico (novanta), filippino (centosessanta) e indonesiano (quattrocentoventisei) fanno veramente del vicentino una sorta di precursore dell’etnolinguistica.
Ogni pagina del libro trabocca di impressioni memorabili. I tupinamba brasiliani (oggi estinti) hanno “infinitissimi papagali” e “se vestono de vestiture de piume de papagalo con rode grande al cullo de le penne magiore (cosa ridicula)” (p. 172): ricordano i colori dell’Atlante Miller, datato 1519. A Puerto San Julián (nell’odierna Argentina) Magellano vede indigeni infagottati di pellicce e corridori velocissimi; gli ricordano Patagón, un mostro del romanzo cavalleresco Primaleón, e così li chiama “Patagoni”. Lo racconta Pigafetta, che è anche il primo a chiamare questi luoghi “Terra Patagonia”. Nella Relazione troviamo anche i dettagli sul guanaco e sulla lavorazione della sua pelle, che rimarrà un tratto tipicofino a diventare una sorta di souvenir per i turisti. Lo straniamento è fortissimo: il vicentino questa volta si lascia andare e riferisce che i patagoni sono altissimi; e le gigantesse e i giganti patagonici sopravvivranno con alterna fortuna fino al Settecento, quando qualcuno dirà ancora di averli avvistati. C’è di che rattristarsi: gli ultimi eredi dei “giganti” ci guardano smarriti dalle fotografie dell’incipiente secolo scorso, rinchiusi nelle missioni europee dove le epidemie stanno finendo di sterminarli.
Magellano supera il pericoloso stretto che ha caparbiamente cercato e che oggi porta il suo nome; si ritrova così in una distesa d’acqua che sembra non finire mai: è il Pacifico. Dopo una sosta poco felice alle isole Marianne, le navi approdano a un arcipelago che prende il nome di San Lazzaro per il giorno in cui viene raggiunto. Sono le isole che poi diverranno Filippine e qui Magellano incontra il suo destino tra indigeni che probabilmente assomigliano a quelli raffigurati nel Codice Boxer attorno al 1590. La Relazione ci descrive i suoi comportamenti, che appaiono alquanto inspiegabili. L’ammiraglio sembra mettere da parte il vero obiettivo della missione, cioè le Molucche, e si ostina a imporre un controllo politico-religioso nelle isole in cui si trova, prive di spezie e di ricchezze evidenti. Insiste sulla conversione dei nativi di Cebu; dà dimostrazioni con l’artiglieria di bordo, le celebrazioni liturgiche, la caccia agli idoli pagani e addirittura le guarigioni miracolose. Sembra che un colonnello Kurtz, in anticipo su Coppola ma anche su Conrad, sia arrivato con i suoi fantasmi sul set di Apocalypse Now. Il fervore conduce Magellano all’errore fatale: volendo dimostrare la forza dei propri soldati ai capi locali, intima a uno di loro di sottomettersi. Il suo nome è Lapulapu, governa l’isola di Mactan e rifiuta di obbedire. Allora Magellano, all’alba del 27 aprile 1521, sferra un attacco che gli costa la sconfitta e la morte. Pigafetta è presente e racconta i fatti con tono epico; il che però non cancella le ingenuità che conducono l’ammiraglio a questo esito. Dopo la battaglia di Mactan, i cebuani, probabilmente vessati dal comportamento dei nuovi arrivati e sempre meno convinti della loro invincibilità, ordiscono un tradimento. Tendono ai navigatori una trappola mortale: una ventina di uomini,tra cui due capitani e il cosmografo della spedizione,vengono uccisi o restano prigionieri, mentre gli altri fuggono e abbandonano gli ostaggi. Elcano assume il comando delle due navi rimaste, ma la Relazione gli riserva fino alla fine un silenzio che dimostra la conflittualità tra i sostenitori del defunto Magellano e la componente spagnola degli equipaggi. Però la seconda parte del libro vede anche il suo autore più spesso in primo piano; Pigafetta racconta di sé e dei suoi incarichi a terra come ambasciatore e negoziatore presso gli indigeni. Il suo occhio di naturalista e antropologo ante litteram fissa molti particolari con precisione. Però è interessante notare qualche residua incertezza, quasi che l’attitudine sperimentale non sia ancora perfettamente collaudata; per esempio gli insetti foglia (Phyllium), autentici campioni di mimetismo del mondo animale, sono descritti come foglie che camminano (p. 273). Giunto alle Molucche, Pigafetta si dilunga volentieri su quanto vede e sente dire; descrive lanatura dei luoghi, l’abbondanza e l’utilità dei prodotti.
Un altro cortocircuito può scattare: meno di vent’anni dopo, viene realizzato il Codex Casanatense 1889, un interessante manoscritto la cui origine è di solito definita indo-portoghese. Le sue pagine presentano usi e costumi di vari popoli africani e asiatici; non mancano gli abitanti delle Molucche (Maluco in portoghese), ritratti fra alberi di chiodi di garofano stilizzati. Il ritorno della Victoria è drammatico. L’equipaggio decimato ed esausto tocca il molo di Siviglia l’8 settembre 1522 nel tripudio generale. L’ostinata fedeltà di Pigafetta a Magellano suona sgradita e così lui, deluso, se ne torna in Italia. Scrive la Relazione e, nell’estate del 1524, ottiene il privilegio di stampa dal senato veneziano, ma il libro non vedrà mai la luce. E di lì a poco il viaggiatore-scrittore sparisce nel nulla, come se tutta la sua esistenza si fosse consumata nella circumnavigazione e per tramandarne la memoria: forse il finale più degno per chi ha vissuto e raccontato una storia così incredibile.
Come si è diffusa la notizia del primo giro attorno al mondo? Note sui giorni a seguire tra lettere, racconti e la Relazione di Pigafetta
di Valeria Cafà
Il giorno stesso dell’arrivo al porto di Sanlúcar de Barrameda, il 6 settembre 1522, il comandante Juan Sebastián Elcano in un “Aviso” a Carlo V riassume i fatti memorabili del viaggio. Poche righe, ma scritte dopo mesi di attente riflessioni. Elcano e il resto dell’equipaggio avevano appreso a Tidore, nelle Molucche – lo testimonia Pigafetta – che la nave San Antonio era riuscita a tornare in Spagna offrendo alla corte la propria versione della ribellione a Magellano (che vedeva coinvolto lo stesso Elcano), della diserzione per tornare in Spagna e dell’effettiva esistenza del passaggio a ovest. Così, nell’Avviso, dopo un rapido cenno all’attraversamento dello stretto tra Atlantico e Pacifico e alla morte del comandante, Elcano tocca le corde di più sicuro favore. Oro e spezie delle Molucche. Isole che, rassicura, “sono nei limiti e marcature e conquiste, come provano le nostre carte e appunti”. La pertinenza delle Molucche alla Spagna, nel rispetto del trattato di Tordesillas del 1494, era un punto chiave ma tutt’altro che pacifico. Il 7 settembre vengono portati i primi viveri e con una dozzina di uomini si fa risalire la Victoria lungo il Guadalquivir fino al porto de las Muelas a Siviglia, ove arrivano lunedì 8. Martedì i diciotto sopravvissuti, “in camisa e discalci”, scendono finalmente a terra per ringraziare la Vergine. Nel frattempo l’Avviso di Elcano giungeva a Valladolid, sede della corte, e da qui, “con una celeridad a la altura de la noticia que acaba de recibir”, Carlo rispondeva invitando Elcano a raggiungerlo subito, portando con sé due uomini, “las mas curda y de mejorraçon”, i più sani di corpo e di mente. Non solo. L’Avviso di Elcano veniva copiato e inviato alle corti e ai principi d’Europa diventando di fatto il primo messaggio ufficiale sul primo giro attorno al mondo. Dalle mani del potente gran cancelliere del re, Mercurino Arborio di Gattinara, italiano, lo riceve l’ambasciatore della Repubblica di Venezia alla corte di Spagna, Gasparo Contarini, che, dopo averlo copiato e tradotto, lo invierà in un dispaccio datato 24 settembre 1522 al doge Antonio Grimani, al fratello Marco e probabilmente ad Alvise Zorzi.
Resterà deluso chi si aspetta che Elcano si faccia accompagnare al cospetto dell’imperatore da Pigafetta. Al nostro, vennero preferiti il greco Francisco Albo, pilota della Victoria, autore di un Diario o Derrotero con le rotte del viaggio, un documento fondamentale e complementare all’opera di Pigafetta, e Hernando de Bustamante di Mérida, ovvero il barbiere-chirurgo della spedizione, imbarcato all’inizio nella Concepción, la nave di cui Elcano era nostromo. I tre vennero benaccolti alla corte, anche perché nel frattempo si era scaricata la nave degli oltre 524 quintali di spezie stivati e la Casa de la Contratación di Siviglia aveva appurato che il viaggio era stato ripagato e pure vantaggioso. A Valladolid, il 18 ottobre, prima di incontrare il re, vennero sottoposti a un interrogatorio in quattordici domande su alcuni punti cruciali, dal comportamento di Magellano all’ammutinamento, alle trattative per la compravendita di spezie nelle Molucche.
Fino ad ora l’unico messaggio ufficiale rimane quello di Elcano. Ma alla corte spagnola vi erano due figure di altissimo profilo che stavano alacremente lavorando per dare una veste ufficiale e istituzionale a quanto accaduto: il segretario Maximilianus Transylvanus – probabilmente belga, nonostante il nome – sposato con Francisca, nipote del mercante e finanziatore della spedizione di Magellano, Cristóbal de Haro, e dunque con un interesse personale e informazioni di prima mano sull’organizzazione della spedizione, e il consigliere del re, Pietro Martire d’Anghiera, nato sul lago Maggiore ma in Spagna dal 1487, divenuto lo storico ufficiale delle scoperte del Nuovo Mondo, che andava raccontando in lettere pubblicate nelle Decades de orbe novo. I due hanno approcci diversi. Transylvanus ha Elcano come fonte principale. Di frequente, secondo quanto riporta l’umanista lussemburghese Conrad Wecker, il comandante basco si reca a casa del segretario per raccontare i dettagli del viaggio. Da questi incontri ha origine una lunga lettera che il 24 ottobre1522 Transylvanus invia al cardinale Matthäus Lang, arcivescovo di Salisburgo, che in quei giorni partecipa alla Dieta di Norimberga. Data alle stampe a Colonia nel gennaio del 1523 con l’eloquente titolo De Moluccis Insulis, è un testo con una amplissima diffusione e fortuna, nato sostanzialmente dalla fedele trasposizione dei racconti di Elcano e dalla penna di Transylvanus per affermare come il possesso delle isole Molucche sia da ricondursi alla corona di Castiglia e per sostenere l’idea di un impero transpacifico spagnolo.
Pietro Martire scriverà a sua volta una lunga lettera, il De Orbe ambito, il mondo circumnavigato, dedicata al pontefice Adriano VI forse nell’ottobre 1522, lettera che tuttavia non verrà subito data alle stampe perché perduta. Verrà ritrovata e pubblicata postuma nel 1530. Un testo che, nello stile personale che contraddistingue l’autore, dà conto di fonti diverse, cercando spesso di fornire spiegazioni a quanto viene raccontato. E Pigafetta? Probabilmente poco sorpreso dal non essere stato scelto da Elcano, non si dà per vinto. In attesa di essere a sua volta ascoltato dal sovrano, rivedendo i suoi appunti redige un diario del viaggio. In chiusura alla Relazione infatti racconta: “Partendomi de Seviglia, andai a Vagliadolid, ove apresentai a la sacra magestà de don Carlo non oro né argento, ma cose da essere assai apreciati da un simil signore. Fra le altre cose li detti uno libro scripto de mia mano de tucte le cose passate de giorno in giorno nel viagio nostro”.
Del libro di Pigafetta si parlò da subito e divenne anche questa notizia ghiotta per i corrispondenti a corte. Consegnando il diario, “il più importante rapporto sull’esplorazione di terre remote dai tempi del Milione di Marco Polo”, Pigafetta voleva forse assicurarsi che anche la propria testimonianza entrasse tra la documentazione ufficiale della spedizione. Le carte nautiche, il libro di bordo di Martín Méndez relativo all’attività diplomatica e commerciale nelle Molucche (noto come “Libro de laspaces del Maluco”), il giornale di bordo di Francisco Albo con le rotte, varie relazioni e lettere erano stati subito ritirati dal re e dai suoi collaboratori e, proprio per questo oggi sono in gran parte conservati. È dunque ben sorprendente che il diario consegnato in quell’occasione sia scomparso.
Il 21 ottobre Antonio Bagarotto, ambasciatore in Spagna della corte gonzaghesca, scriveva al marchese Federico che “Quelli che al presente sono vegnuti, che hano girato il mondo a tondo a tondo, hano portato un libro molto bello, che de zorno in zorno li è scritto el viagio e paese che hanno ricerchato. S’elserà possibile averlo, ne farò fare una copia e la manderò a vostra signoria illustrissima”. Possiamo intuire la risposta del marchese, visto che il 12 novembre Bagarotto riesce a inviare “un breve extracto o sumario del libro che hano portà quelli de li Indie” che, rimarca, “se ha habuto cum qualche difficultà”. È verosimile che il “libro molto bello” descritto dal Bagarotto sia il libro di Pigafetta, da cui avremmo anche un ante quem per l’effettivo incontro tra il vicentino e il sovrano.
Nel frattempo Pigafetta deve aver capito che poco avrebbe ottenuto dalla corte spagnola oltre quanto gli spettava. Così il 10 novembre 1522 egli venne liquidato – unico tra tutti i sopravvissuti – di quanto gli si doveva per i tre anni e ventotto giorni di servizio a bordo della Trinidad e poi della Victoria: 32.924 maravedì come stipendio e altri 7040 maravedì per la quintalata, la percentuale sul carico. Si trattava di una cifra sottostimata rispetto a quanto veramente frutterà la vendita del carico e perfino dello scafo della nave. Ma, prima di partire, Pigafetta ha modo di chiarire alcuni dubbi su fatti avvenuti lungo il viaggio e di trarre diverse notizie e informazioni che confluiranno nella Relazione del primo viaggio attorno al mondo. Come già ricordato, alla corte spagnola era presente un altro veneto, Gasparo Contarini. È proprio l’ambasciatore Contarini a intervenire su una questione di massima rilevanza per la spedizione, il “giorno perduto”. Scrive Pigafetta che sulla via del ritorno, arrivati a Capo Verde, fu loro detto che era giovedì. Ma per Pigafetta e l’equipaggio era invece mercoledì e perciò “se meravigliassemo molto perché […] non sapevamo come avessemo erato. Per ogni iorno io, per essere stato sempre sanno, aveva scripto senza nissuna intermissione”. E la frase seguente dà conto di qualcosa che accade nella Relazione: una giustapposizione di dati che hanno origine in tempi diversi. “Ma, come da poi ne fu deto, non era erore, ma, il viagio facto sempre per occidente e ritornato a lo stesso luoco come fa il solle, aveva portato quel vantaggio de ore vinticatro, como chiaro se vede”. Come ricorda Pietro Martire in chiusura del De Orbe ambito, fu Contarini che trovò soluzione al mistero del giorno perduto, scartando varie ipotesi circolate e che pure il cronista di corte annota, quasi a renderci partecipi dell’ampio dibattito che tal particolarissimo episodio aveva suscitato. Questo perché Pietro Martire in persona aveva ipotizzato che si fossero semplicemente sbagliati o che si fossero scordati che il 1520 era anno bisestile. Scrive sorpreso Pietro Martire che “i 18 uomini che sono tornati dalla spedizione sono praticamente tutti ignoranti ma, interrogati successivamente, hanno confermato la loro versione”. Della questione tace Transylvanus, probabilmente per non aver fatto in tempo ad averne una spiegazione sicura.
Nelle settimane seguenti Pigafetta viene accolto alle corti di Portogallo e Francia – è lui stesso a darcene notizia nella Relazione – senza trarne né vantaggio né particolare soddisfazione, e nel frattempo riprende i contatti con il nunzio Francesco Chiericati, anch’egli alla Dieta di Norimberga, tramite il quale riesce a essere accolto anche a Mantova, alla corte di Isabella d’Este (primavera1523). Prima di lasciare Norimberga il 16 febbraio1523, Chiericati invia una copia fresca di stampa del De MoluccisI nsulis a Roma, allo stampatore Francesco Minizio Calvo, cui si deve la terza edizione dell’opera di Transylvanus, stampata nell’Urbe nel novembre 1523 Ora c’è da chiedersi se Pigafetta,dopo aver raccontato a mezzo mondo le sue avventure senza trarne quanto sperava – magari un impiego, una rendita e un titolo – e dopo aver riscontrato come si stesse diffondendo la versione di Elcano del viaggio, si sia domandato cosa fare. Anche il testo di Pietro Martire, che potrebbe contenere vari indizi circa il contributo di Pigafetta, non lo menziona, pur facendo il nome di altri sopravvissuti. Insomma sembra che la versione di Pigafetta non abbia trovato uno sbocco immediato nelle comunicazioni ufficiali seguite all’arrivo della Victoria. Forse il testo della Relazione ci può dire qualcosa in proposito. L’impressione è che, anche nei giorni in cui il vicentino rimase in Spagna, tra Siviglia e Valladolid, abbia raccolto informazioni nell’ottica della riscrittura del libro, come già riscontrato per l’episodio del “giorno perduto”. Quando ad esempio annota nella Relazione che uno dei patagoni catturati è perito durante il viaggio di ritorno della San Antonio, vuol dire che ha cercato quella notizia che nessun altro, né Transylvanus né Pietro Martire, fornisce. Quando dà i dettagli perfino delle bilance usate per pesare i chiodi di garofano, sta rispondendo a una delle quattordici domande poste a Elcano, Albo e Bustamante. Si deve essere presto accorto che senza il suo contributo, anche il capitano generale Magellano sarebbe rimasto senza voce.
Le vicende legate alla pubblicazione della Relazione sono tuttavia tutt’altro che lineari. A sorpresa infatti, nonostante i ripetuti e cordiali contatti con la corte Gonzaga e con il pontefice Clemente VII, la Relazione sarà dedicata al Gran Maestro di Rodi Philippe Villiers de L’Isle-Adam. Nonostante il privilegio di stampa concesso da Venezia il 5 agosto 1524 e le notizie sull’accordo con il tipografo, nulla verrà pubblicato. Dopo il 28 giugno 1525, quando Pigafetta compare nel testamento paterno, di lui si perdono le tracce. La Relazione verrà tradotta in francese e, dopo il maggio 1526, pubblicata a Parigi. Cosa è successo? Mentre Pigafetta gira tra le corti e racconta la sua storia, viene nominato cavaliere gerosolimitano, forse con l’aiuto, vien da pensare, dei Chiericati, visto che l’unico altro cavaliere vicentino al tempo è Cesare, fratello minore di Francesco Chiericati. Stando a Ramusio, il titolo gli giunge per aver compiuto la prima circumnavigazione del globo. Di certo, fu prima del 7 novembre 1523, quando Marin Sanudo annota la presenza di Pigafetta a Venezia, dal doge Andrea Gritti, definendolo “cavalier erante e di Rodi”. Dall’ordine, il 3 ottobre1524 Pigafetta riceve la commenda di Norcia,Todi e Arquata e, pochi giorni dopo, in una pratica tutto sommato non infrequente, il Gran Maestro dà incarico di raccogliere prove giurate circa la nobiltà di Pigafetta. La dedica della Relazione al Gran Maestro potrebbe dunque essere stata uno strumento per ottenere la commenda oppure, parimenti, il segno del ricevuto beneficio. Di certo suggella un rapporto tra Pigafetta e l’ordine, nella figura del Gran Maestro, che potrebbe essere una chiave di lettura per gli eventi a venire.
Scomparso poco dopo Pigafetta dalla scena, a conti fatti, rimaneva solo una persona che aveva in mano il testo pressoché definitivo della Relazione e vi era anche “moralmente” legato, Philippe Villiers de L’Isle-Adam, cui l’opera è dedicata sia nell’edizione a stampa sia nei quattro manoscritti superstiti (tre in francese e quello dell’Ambrosiana in italiano). Non ci sono prove a conferma che fu proprio il Gran Maestro a far arrivare a Parigi il testo poi tradotto e pubblicato. Ma Parigi era la sua città di origine. I Villiers de L’Isle-Adam erano un’antica nobile famiglia, potente e ben inserita. Per quanto riguarda l’editore, Simon de Colines, egli era uno dei più prestigiosi e raffinati del tempo (una sorta di Aldo Manuzio, se è concesso il parallelo) e, forse è un caso, di lui si servirà, nel 1531, anche il nipote di Philippe, Charles. Di fatto, in un momento estremamente difficile per l’ordine, che, ostacolato pure da Venezia, era ancora alla ricerca di una sede dopo aver abbandonato Rodi, la Relazione permetteva di tenere vivo a livello internazionale il prestigio e l’autorevolezza dei gerosolimitani. Con Pigafetta, i cavalieri di Rodi potevano ben dire di aver contribuito all’impresa della prima circumnavigazione del globo voluta da quell’imperatore, Carlo V, da cui attendevano che si mettesse fine al loro peregrinare. Finalmente, nel 1530, il Gran Maestro Philippe Villiers de L’Isle-Adam ottenne da Carlo V la nuova e definitiva sede, l’isola di Malta, e Pigafetta, grazie all’ampia diffusione della Relazione a stampa, scongiurava il rischio di cadere nell’oblio conquistandosi invero “qualche nome appresso alla posterità”.