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Gli 800 anni del Presepe. Pastorelli e figure tipiche di quello tradizionale

La devozione per il presepe si deve a San Francesco D’Assisi, ad un suo atto di fede di una magica Notte di Natale di 800 anni fa. Il presepe, lo sanno tutti è la stalla, la mangiatoia nella quale Gesù venne alla luce umilmente nel rigor dell’inverno, e ricevette i primi omaggi dagli uomini della terra.  L’uso di rappresentare nelle chiese e anche nelle case il presepio nacque per opera di San Francesco, che in Greccio in valle di Rieti, circa nel 1223, la notte di Natale fece portare in una specie di grotta una mangiatoia col fieno, le figure del bue e dell’asino e il simulacro del bambino Gesù. Da quell’avvenimento storico-religioso, la rievocazione della nascita di Gesù Bambino con i simulacri di terracotta, sostituita ai figuranti, è diventato uno dei simboli più rappresentativi del Natale, mai tramontato, che ha ispirato e stimolato l’estro di numerosi artisti e artigiani italiani dalla Toscana alla Campania, dalla Sicilia alla Calabria.

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Giotto, Istituzione del presepe a Greccio, 1295 – Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi

I pastori della scuola napoletana sono un vanto italiano, rinomati anche oltre i confini nazionali.  Si tramanda che dopo il Santo d’Assisi, anche in Campania,  San Gaetano da Thiene, nel 1530 rappresentò la scena della natività con pastori in legno  presso Oratorio di Santa Maria della Stalletta,  arricchendo con nuove figure sia del mondo antico che contemporaneo.

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Ricottaru e cavaspina – Fotografia di Andrea Bressi

Nell’estremo lembo della nostra penisola, in Calabria, da Laino Borgo a San Floro, da Catanzaro a Tropea,  da Serra San Bruno a Seminara, fino agli anni Cinquanta circa era possibile acquistare i pastorelli da validi artigiani locali, i cosiddetti pasturari, molti dei quali erano soliti, nel mese di dicembre, allestire per le vie e le piazze dei borghi, assortite bancarelle e veri e propri mercatini natalizi per l’esposizione e la vendita delle loro apprezzabili statuine di terracotta.  Nelle cattedrali, nelle chiese, nei palazzi e in qualche casa nobiliare era possibile ammirare i presepi artistici della scuola napoletana con pastori di terracotta lucida o carta pesta dipinta, semplici o più elaborati, con abiti settecenteschi di tessuto sfarzoso o più rudimentali opere lignee, mobili o anche semoventi.  Da quando gli artigiani locali hanno chiuso le loro botteghe artistiche, sono però venute meno alcune figure tipiche, immancabili e peculiari della tradizione presepiale calabrese, personaggi carichi di storia, significato e simbolismo.

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La filatrice – Fotografia di Andrea Bressi

I rinomati ceramisti di Seminara si sono distinti anche nell’arte presepiale, sia con la ripresa  di figure comuni come il meravigliato u lampatu da stijia,  e sia per l’aver forgiato personaggi allegorici e significativi come ‘u monacu cchì fujì  un pastorello di terracotta rappresentante un monaco in fuga, con una grande cesta sulle spalle, dove è nascosta una giovane e bella fanciulla. I pastori si facevano spesso voce di vere e proprie satire locali.

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‘U ‘ncantatu – Fotografia di Andrea Bressi

Nei quartieri del capoluogo calabrese, Catanzaro, e in alcuni borghi dell’hinterland, l’immancabile personaggio del presepe tradizionale era il pastore “che si cava la spina dal piede”.  Ho amato sin da piccolo questo pastore, che ogni anno, nell’avvicinarsi delle festività natalizie, veniva rifoggiato nella casa paterna, con piacere e cura, e con la sua storia e il suo originale significato: u pastura cchì si caccia a spina do peda  posto nelle vicinanze della grotta, figura emblematica della miseria spirituale e della debolezza umana, per i catanzaresi valeva più di qualunque altro singolo pastore del presepe.

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Pastore che si cava la spina – Collezione Silvestro Bressi

Oltre a questa figura, che rimanda allo spinario della tradizione ellenica, si tramanda di altri personaggi tipici: ‘u ncantatu (il meravigliato), venditore di angurie, il pastore che prepara la ricotta, gli zampognari,  la venditrice di caldarroste, ‘a pacchjana (la donna in costume tradizionale), e ‘a zingareddha  (la zingarella).

Zingareddha – Fotografia di Andrea Bressi

 Che ci fa una zingarella tra i pastorelli del presepe?

Se consideriamo la religione cristiana, viste le doti divinatorie attribuite alle donne zingare, additate di ricorrere all’astrologia e alla stregoneria, tale personaggio può risultare, in effetti, scomodo e fuori luogo. Ma ‘a zingareddha nel presepe locale riveste un ruolo simbolico preciso.  La pastorella dal volto scuro, vestita di stracci dai colori accesi, rappresentata la maggior parte delle volte con un bambino in fasce tra le braccia o nell’atto di allattare, annuncia nel giorno della nascita del Bambinello la passione e morte di Gesù Cristo, attraverso gli strumenti della Crocifissione (i chiodi, la tenaglia, il martello) che porta in un paniere. Come testimoniato dal grande ricercatore e musicologo Roberto De Simone, la Zingara, riveste stesso ruolo determinante anche nel presepe napoletano, e rimanda a figure profetiche ancestrali, le Sibille.

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La Zingarella – Illustrazione a cura di Victoria HAF (Magia Agreste)

La figura della Zingara, per via delle capacità divinatorie, è presente anche in diverse opere letterarie e teatrali, in rappresentazioni sacre e profane, canti e racconti e altre espressioni del mondo popolare del sud Italia. Durante la fuga in Egitto, episodio evangelico che molto si presta alla narrazione, secondo la tradizione orale, San Giuseppe, Maria e il Bambino in groppa all’asinello, durante il cammino si sono imbattuti in una zingarella indovina.    Si tramanda, a tal proposito, un canto narrativo che riferisce l’immaginario colloquio fra la Madonna e la Zingarella indovina: Diu ti sarvi, o beddha Signura,/ e ti dia bbona ventura:/ Bona ventura vecchareddhu / ccu ssu beddhu bambineddhu.

La Zingarella offre ospitalità a Maria e Giuseppe nella sua umile casupola, dà anche alla Madonna la ventura, narrandole il passato vissuto e predicendole la Passione di Gesù. L’ indovina chiede in cambio l’elemosina, ma la Madonna risponde di essere forestiera e di non avere nemmeno uno spicciolo. Allora la zingarella  chiede per ricompensa la salvezza dell’anima:  …s’anima,  sulu, dopu morta, falla entrare a li celesti porti. Queste sono solo alcune strofe di un lungo dialogo dialettale calabrese,  tra la Madonna e la Zingarella indovina, pubblicata nel 1881, dal filologo e storico Francesco Corazzini in un libretto dal titolo Poesie Popolari calabresi. 

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Zingarella Indovina – Fotografia di Andrea Bressi

Autorevoli fonti scritte ci danno notizia che si tratti di un antichissimo canto di tradizione orale. Ad opera di un monaco parlemitano, nel 1775, è stato trascritto e pubblicato in un libretto, che ne ha permesso e facilitato la diffusione dalla Sicilia alla Calabria, dalla Campania alla Toscana parallelamente alla trasmissione orale, e alla riproposizione dei cantastorie nei loro spettacoli di strada.  Anche io, nel mio spettacolo sul Natale calabrese, accompagnandomi con la chitarra battente, tra le tante storie che canto e racconto,  interpreto una colorita versione di questo affascinante canto narrativo della tradizione orale,  per tramandarlo alle nuove generazioni.

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Andrea Bressi – cantastorie

di Andrea Bressi – cantastorie

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