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Il quartiere Coppedè, luogo fantastico ricco di simboli e suggestioni

Pensato per ospitare famiglie dell’alta borghesia, e situato  all’interno del quartiere Trieste tra via Salaria e via Nomentana, il quartiere Coppedè è una delle zone più aristocratiche di Roma agli inizi del XX secolo. Rappresenta l’esperimento artistico-architettonico più originale intrapreso nella città agli inizi del Novecento. Un luogo fuori dal tempo che ci porta in un mondo fantastico pieno di raffinati, quanto sorprendenti edifici, ricchi di decorazioni e dipinti che rappresentano personaggi della storia, della mitologia e della letteratura. Ha conservato tutto il suo fascino, ed è annoverato tra i luoghi storici più suggestivi di Roma.

Nasce dalle geniali e innovative idee dell’architetto Gino Coppedè, nato a Firenze nel 1866. Suo padre Mariano, abile artigiano, ebanista e intagliatore, possedeva un avviato laboratorio di arti applicate: lì, giovanissimo, Gino iniziò a lavorare, frequentando pure la scuola professionale di Arti Decorative Industriali e l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Insegnò in una scuola di Pistoia fino a quando, nel 1893, si trasferì a Genova per il suo primo importante incarico: il progetto di un castello su commissione dell’imprenditore Evan Mackenzie, di origini scozzesi ma residente in Italia. Il castello fu terminato nel 1905 e la famiglia Mackenzie lo abitò fino alla morte di Evan. Questo è stato sicuramente il primo successo professionale di Coppedè che, da quel momento, ricevette importanti commissioni in tutta Italia e soprattutto a Genova, Messina e Roma. Fu la Società Anonima Edilizia Moderna a conferirgli l’incarico romano nel 1915. I lavori iniziarono nel 1917. L’elegante complesso è formato da diciotto palazzi e ventisette tra palazzine più piccole e villini, oltre ad una serie di edifici destinati a diventare sedi di alcune ambasciate. La realizzazione del quartiere rimase purtroppo incompleta a causa della morte di Coppedè avvenuta nel 1927. Il suo nome però è rimasto legato a questo quartiere, diventando così l’unico architetto italiano del Novecento a ottenere questo riconoscimento. Il progetto fu poi portato a termine da Paolo Emilio André.

 

Lo stile Coppedè, l’unico modo per definire il lavoro di questo grande artista, non è proprio in linea con lo stile Eclettico né con lo stile Liberty che venivano utilizzati in quel periodo, ma è molto teatrale e fantasioso. Si tratta soprattutto di una fusione di stili e riferimenti culturali dal neomedievale, al tardo manierista fiorentino, al barocco romano, con un tocco di fantasia e gusto per la decorazione. Il quartiere è un insieme di edifici dai nomi affascinanti ed evocativi, densi di significati simbolici ed esoterici. Osservando una delle colonne all’ingresso di via Doria possiamo notare la dedica di Gino Coppedè: Artis praecepta recentis / maiorum exempla ostendo (Rappresento i precetti dell’arte moderna attraverso gli esempi degli antichi). Il progetto del nucleo centrale del quartiere segue le regole costruttive delle cattedrali gotiche. Queste sono orientate verso est, consacrate alla Madonna e hanno pianta a croce latina.

Per entrare nell’abitato dobbiamo attraversare il “Grande Arco” che congiunge i due splendidi Palazzi degli Ambasciatori, chiamati così perché destinati agli alti funzionari statali; in uno degli appartamenti, al numero 2 di via Doria, alloggiò anche la stessa famiglia Coppedè. Guardando l’arco, sulla prima colonna a sinistra troviamo la firma “Arch. Gino Coppedè”. L’arco, imponente, rimanda a quelli trionfali dell’antica Roma. Sotto l’arco troviamo un grande lampadario in ferro battuto, di forma circolare con vari motivi decorativi, tra cui sette cavallucci marini. Il cavalluccio marino rappresenta l’unione degli opposti, perché il maschio porta su di sé i piccoli e inoltre è anche uno degli animali psicopompo, cioè coloro che accompagnano le anime nell’aldilà. La presenza del lampadario crea l’illusione di entrare in un fantastico palazzo o in una cattedrale: la sera si illumina creando un’intensa suggestione.

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Testo e disegni di Angela Maria Russo

Fotografie di Stefano Marcovaldi e Angela Maria Russo

 

 

 

 

 

 

 

Autore

  • Biologa e artista, da sempre disegna e dipinge fissando sulla carta le sue passioni: la natura e i viaggi. Ha partecipato a molte mostre sia personali che collettive, in Italia, Europa e Stati Uniti. Alcuni suoi lavori fanno parte di collezioni presso università, fondazioni e privati di vari Paesi (Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Russia). Ha collaborato e collabora con Parchi, musei naturalistici, WWF, periodici, riviste e case editrici italiane, pubblicando articoli e illus...

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