Il viaggio che non ho fatto. Il viaggio che ho fatto. Ne dovevo fare uno e ne ho fatto un altro, totalmente diverso, ma reale, pratico, duro. Non culturale, come sghignazzando o enfatizzando si usa questo aggettivo, un aggettivo che connota, ora, il vuoto della conoscenza, della consapevolezza critica, della coscienza di una diversità. Tutto è uguale… in questo viaggio melassa la storia è annullata, gli individui inesistenti, la capo scostante e indifferente, la guida, scelta per l’uopo, non ha colpe. Eppure questo vagare senza senso da un albergo a un altro comincia a piacermi, a darmi il polso di un malessere che pervade il nostro tempo. Guardo e scopro affinità, tristezze e malinconie negli occhi di alcuni, sofferenze per come la vita li abbia cambiati, ci abbia cambiato, solitudini risolte o nascoste col cibo, con l’acquisto continuo e reiterato di piccoli oggetti da portare via, da regalare poi come un obbligo ottemperato. Sento, percepisco una rassegnazione, un’accettazione, un’obbedienza alla vita, in generale, e al capo, in questo viaggio, senza scatti, prona; eppure questi posti avrebbero dovuto essere visitati con la coscienza di viaggiare nel tempo per recuperare le origini del nostro cammino umano.
Oggi la città dei Nabatei! Che meraviglia! Rosa, scavata nella roccia, dimenticata, la città che nel terzo secolo avanti Cristo era vivace, fiorente ed ora non c’è più. Un viaggio non è un viaggio se non ci sono smarrimenti, imprevisti, ritardi, equivoci, litigi, intolleranze, delusioni. Un viaggio non è un viaggio senza stupore, meraviglia, fascinazione di luoghi. Un viaggio non è un viaggio se gli occhi della mente non si abituano a vedere le differenze, le somiglianze, a sentirne il contatto e il profondo baratro fra mondi diversi. Se viaggiare è questo, allora, nonostante tutto, ho viaggiato. Prima sera: stanza ermeticamente chiusa, aria condizionata, difficoltà respiratorie. Risposta secca, dura del capo: te ne vai. Io, decisa, ferma: Sì, me ne vado. Non smarrita davanti all’aggressione, all’indifferenza, ma consapevole che era l’unica risposta che io sapessi dare. Forse non quella giusta. Perché è il capogruppo che si fa carico dei problemi del suo torpedone. Qui è diverso. Poi un principe, il cugino del re, come nelle favole, comprende e fa aprire una suite reale con terrazzo, la fa pulire e risolve… per quella sera, si badi bene. Rimane quindi valido l’imperativo e il consiglio di andare ad acquistare subito il biglietto di ritorno.
Merylou perde il bastone, la Kapo si gira dall’altra parte, qualcuno cade, noie! Vai a Petra e vuoi vedere il monumento più importante: è lontano! – è la sua risposta – non c’è tempo! – E così siamo andati a Petra senza esserci stati, come se fossimo andati a Roma senza vedere il Colosseo. Ma lei, prostrata da una raucedine fastidiosa, probabilmente sintomo di qualcosa di più serio, non raccoglie, è una lastra, e si è scelta una guida all’uopo. Docile, inconsistente, senza contenuti, asmatico, stanco, l’uomo guida è affiancato dal responsabile del Garden Travel, nervoso e diseducato, diabetico e infelice, che per fortuna va via subito. Mi è sembrato di essere su “Scherzi a parte”. Era un bel viaggio sulla carta, ma la carta è solo un pezzo di carta. Qui ora ho visto alberghi confortevoli e lussuosi, ottimo cibo e per caso, ma questo non era incluso nel programma, una compagna di camera gradevole, acuta, sorniona, una presenza piacevolissima, una miss Marple giovane, una Elizabeth di Ragione e Sentimento, più adulta, una camperista, quindi abituata a gestire con poco spazio, poca roba le sue esigenze. Io le sarò sembrata con troppi bisogni, di docce, di riposo, di cibo. Eccessiva, dicono i miei cari. Comunque è andata bene. Questo era un optional. Lo pagherò a parte. Non all’agenzia di viaggi, però, ma alla nostra cara amica comune che, lungimirante, ci ha messo insieme.
Resta, comunque negli occhi lo scenario rupestre e infinito del deserto del Wadi Rum. Il nostro scorrazzare su scassate quattro per quattro nel laboratorio di uno scultore senza limiti e confini, uno scultore, un architetto, un disegnatore insuperabile. Lo spettacoloso della natura basterà da solo a ripagarci di tutte le noie della villeggiatura. Ci ripagherà e sentiremo il desiderio di voler ritornare ancora in un deserto vero perché lì ci sentiremo meno soli del nostro permanere nel deserto quotidiano fatto di incontri e vicinanze.
Ristorante giordano: giovedì. Accanto a me una tavolata di uomini, giovani tutti tranne uno, due, tre… forse i capi che portano a pranzo gli operai, i dipendenti. Mangiano silenziosi, a volte sorridono, concentrati. Due splendidi occhi assorti. Riprendono a mangiare. Sono pranzi di lavoro. Non si dicono niente. I subalterni temono il capo e stanno composti, sottomessi, il capo guarda, si intrattiene con gli altri anziani. Alcuni indossano la giacca, altri portano i baffi, avranno la donna a casa, con i piccoli. Dedicheranno un pensiero a questa donna, un’attenzione in altri giorni, capiranno che esiste anche l’altra, chissà! Intanto cosa sanno di loro, al di là del possedere un orifizio dove immettere cibo, mettere lo stuzzicadenti, tenerlo ben dritto, stretto. Fanno foto di gruppo, mi ricordano altre fotografie, di altri uomini, che mangiano, che bevono, lontani con la mente, con il cuore, con il corpo, da un corpo che saltuariamente li ospita, lontani anche da se stessi. Cosa pensano, oltre al lavoro, oltre alla pancia, alla tasca, al dominio, non so. Eppure vedo da un altro lato uomini con le mogli, una di queste velata e coperta interamente di nero, uomini, alcuni attenti, altri seccati, alcuni generosi, altri dediti. Allora esistono altre categorie di uomini che non si annoiano con figli e mogli, non sempre almeno, che sanno ritagliare del tempo anche per la compagna, che diventa sorella, amica, compagna di un cammino umano difficile senza di lei, senza di lui!
Un cammino senza eredità di affetti non ha senso. Ma anche così, se guardo intorno a me, anche così, se si ha interesse verso i nostri simili, possiamo cancellare tavolate di soli maschi e dirigerci leggere verso la conoscenza di chi ha il piacere di conoscerci. Giordania che non ho visto, il viaggio che non ho fatto, eppure resta di tutto questo una profondità saziante. Questo solo possiamo dire: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Sono bulimici, i nostri compagni di viaggio, bulimici e annoiati, ripetono che non ne possono più di viaggi, ma già si preparano a scorrere il foglietto del prossimo che la capo gli fa pervenire sollecita sotto gli occhi. Sono appena ritornati, alcuni di loro, pronti a ripartire. La mia alter ego mi rimanda un’immagine discorsiva, descrittiva, analitica, organizzata di un modo di vivere che facilmente non può essere condiviso. Mi invita a studiare gli uomini del luogo, i loro sguardi, il modo di parlare, la loro cortesia, la benevolenza verso un turismo che sicuramente porterà benessere e posti di lavoro. Oltre c’è lo scambio di un ciao in arabo, di un vocabolario italiano-arabo, raro in questo paese sotto il dominio inglese, un vocabolario da rilanciare, un’occasione.
Le promesse non mantenute: oggi potrete fare un giro in barca e vedrete i fondali del Mar Rosso, la barriera corallina, i pesci più colorati, più diversi, uno spettacolo al costo di venti euro. Mi propongo all’escursione, ho letto che ad Aqaba c’è un parco marino, esiste veramente quello che viene promesso. Così in venti seguiamo fiduciosi fino al porto la guida che ci fa salire su barconi sconnessi e luridi, con oblò scarsamente trasparenti. Guidati da uomini scortesi, veniamo fatti girare per tutto il tempo nel porto fra puzza di petrolio e navi ancorate, ci indicano, con scherno, l’unico pesce che per caso passa inavvertitamente da lì. Gli unici pesci che abbiamo visto erano stampati sulla mia borsa Braccialini, sul foulard in tinta, sul portachiavi a strisce, bianchi e neri e non a caso l’unico pesce che abbiamo avvistato era a strisce bianconere. Renato era contento lo stesso: era il pesce della Juventus! Ritorniamo all’albergo ed eccetto me tutti giustificano la guida, che certamente sapeva quello che non avremmo visto e sa cosa avremmo dovuto vedere. Un luogo bellissimo che potremo ammirare guardando i documentari sulla barriera corallina di Aqaba, la più settentrionale di tutte le barriere. Ma ora dovrò dire di tutte le altre promesse non mantenute, quest’ultima non era inserita nel programma.
Non abbiamo visto Amman, la Cittadella, il Museo che conserva alcuni rotoli del mar Morto, la Moschea, il tempio di Ercole, o per essere precisi, ci siamo passati, tutto molto fuggitivo: l’esposizione, la visita, in fretta, non c’era tempo, c’era l’appuntamento al suk o da uno scultore. Non c’è tempo nemmeno il giorno dopo e viene cancellata la visita ad Umm Qais, l’antica Gadara, una delle decapoli romane, troppo simile a Jerash, evidentemente, dove di controvoglia veniamo lasciati per un’ora o meno. D’altronde come dicono alcuni romani di Roma del nostro tour, loro vivono a Roma, cosa importa del decumano, del cardo, del teatro che non vediamo, di ogni struttura che ricorda loro i fori imperiali che ogni giorno hanno sotto gli occhi. Cara mia compagna di stanza abbiamo fatto un bel viaggio, ma sulla tua guida Lonely Planet, ogni giorno avidamente leggevamo quello che non avremmo visto e nascondevamo diplomaticamente la nostra delusione, essendoci accorte che, per quasi tutti gli altri componenti del tour, era quello il migliore dei viaggi possibili. Questo che non è stato un tour culturale, è stato invece un tour gastronomico-alberghiero. Ben cinque le strutture visitate. Tutte cinque stelle. Lussuose, megagalattiche, con cibi curati, ottima cucina, dolci superlativi, sempre colazione abbondante, pranzo, cena, sempre super nutriti, ben satolli, siamo rientrati a casa con due o tre chili in più!
Regency Palace. Ho dormito dove dormì Poirote Jacqueline Kennedy. Nulla è per sempre. Una frase banale nella sua ovvietà. Allora perché noi, umani, continuiamo a chiedere ai nostri pensieri, ai nostri affetti, ai nostri progetti una eternità inesistente? Avrei voluto mettere la crisalide sotto una boccia di vetro per impedirle di mettere le ali, di trasformarsi, di essere altro, avrei voluto per sempre la mia adolescenza, mia mamma giovane, mia nonna che raccontava le favole, mia sorella giocare a basket lanciando il suo pallone contro un divieto d’accesso, avrei voluto, per sempre, sentimenti ondeggianti e sway, come la nota canzone, barcollanti. Si scoprirà che per sempre è un bellissimo sogno, come un bellissimo tesoro celato alla vista degli altri da portare con noi in quei pochi istanti di confine tra la vita e la morte. Quando attraverseremo la barriera porteremo con noi per sempre pochissimo e moltissimo, nei flash finali, il sorriso di nostro figlio, se c’è stato, la pazienza di mamma, la sollecitudine di sorella, e un grande amore e rimpianto. Non so proprio per sempre come sarà. Le persone entrano ed escono dal nostro spazio vitale dandoci testimonianze diverse. Come attori, anche noi, pronunciamo battute e andiamo avanti, come attori mal diretti improvvisiamo, poi, ogni tanto, stanchi del logorio di battute stantie e ripetute, scambiamo i logori fogli del copione con altri già recitati. Nel cerebrale delle mie costruzioni mentali, le parole di libri letti prendono forma e vita, le faccio mie e nel giorno che nasce nuove frasi appaiono confortanti. Nulla è per sempre, tutto è diverso, e chissà perché mi viene in mente Petra rosa, vista da al-Siq, scomparsa, ritrovata, visitata, troppo poco. Irrimediabilmente sciupata ed amata nel tempo.
di Ippolita Luzzo – scrittrice