Sabbioneta fu la grande opera del duca Vespasiano Gonzaga Colonna. Ma chi era l’uomo dietro il mito? Figlio di Isabella Colonna e Luigi Rodomonte Gonzaga, Vespasiano nacque a Fondi nel 1531. Rimase orfano di padre all’età di un anno e fu affidato alle cure della zia paterna Giulia Gonzaga Colonna, con la quale trascorse l’infanzia tra Napoli e Roma. Ancora adolescente fu invitato in Spagna alla corte di colui che diventerà imperatore con il nome di Carlo V, come paggio d’onore del principe Filippo, il futuro re. Vespasiano all’età di dieci anni poteva godere di diritti sul feudo di Sabbioneta, sul Marchesato di Ostiano, sulla Contea di Rodigo, sulle Signorie di Bozzolo, Commessaggio e Rivarolo Mantovano per quanto riguarda il nord Italia e, nei possedimenti dell’Italia meridionale, sul Ducato di Trajeto, sulla Contea di Fondi, sulla Baronia di Anglona e sulle Signorie di Turino e Caramanico.
Nel 1549 sposò la nobildonna siciliana Diana Cardona, la quale però morì in circostanze misteriose nel 1559, assieme al suo presunto amante Giovanni Annibale Raineri, forse costretta ad assumere del veleno perché accusata appunto di adulterio dal marito. Nel bollettino ufficiale di morte si parla tuttavia di un colpo apoplettico. Vespasiano rientrò nella sua cittadina nel 1556, allora un borgo rurale. Seguendo le orme del nonno Ludovico diede inizio al progetto di modernizzazione tanto urbanistica quanto sociale e politica della città. Progettata dallo stesso Vespasiano, che si avvalse della personale esperienza di architetto militare, Sabbioneta fu costruita in trentacinque anni seguendo i principi umanistici di razionalità e coerenza scientifica, intrisa di ideali filosofici e valori etici. (vedi: Globusrivista.it/sabbioneta-la-citta-ideale-di-vespasiano-gonzaga/)
Si risposò con Anna d’Aragona, cugina di Filippo II re di Spagna, dalla quale ebbe tre figli: nel gennaio del 1565 nacquero le due gemelle Isabella e Giulia e, nel dicembre dello stesso anno nacque Luys, che morì non ancora quindicenne lasciando il padre senza eredi maschi. La seconda moglie di Vespasiano si spense per malattia e così, nell’agosto del 1567, Vespasiano si sposò una terza volta con Margherita Gonzaga, figlia di Cesare e Camilla Borromeo, signori di Guastalla, dalla quale non ebbe figli. Vespasiano militò al servizio della casa reale spagnola, a cui fu sempre fedelissimo; infatti nel 1571 fu insignito dal re del prestigiosissimo titolo di Viceré di Valencia e Navarra. Inoltre Filippo II decise di ricompensare Vespasiano per lo zelo e la devozione dimostrata in tanti anni, decorandolo della più prestigiosa onorificenza conosciuta al tempo: l’Ordine Equestre del Toson d’Oro. L’Ordine cavalleresco venne istituito nel 1430 da Filippo III di Borgogna, a Bruges, in occasione del suo matrimonio con la principessa portoghese Isabella d’Aviz, per onorare coloro che si erano distinti per fedeltà e servizio alla Corona. L’insegna, che contraddistingueva i membri dell’Ordine, riprendeva il mito degli Argonauti, un gruppo di eroi greci che guidati da Giasone intrapresero l’avventuroso viaggio a bordo della nave Argo per recarsi nelle ostili terre della Colchide alla conquista del Vello d’Oro. Nel Toson d’Oro, il montone simboleggia l’innocenza e l’oro rappresenta la spiritualità. A rappresentarlo nella cerimonia di consegna del leggendario collare, formato da acciarini d’oro contrapposti a pietre focaie e nella sua parte inferiore da un pendente che raffigura la pelle di un ariete con la frase “pretium non vile laborum” (la ricompensa per il lavoro non è disdicevole), il re nominò il duca Ottavio Farnese, che il 29 settembre 1585 nel Duomo di Parma lo pose al collo del duca di Sabbioneta.
Affetto da sifilide, Vespasiano nel 1578 si sottopose a un delicato intervento di trapanazione del cranio, eseguito dal cerusico di corte Antonio Amici, per alleviare le forti emicranie che da anni lo perseguitavano. L’operazione gli consentì di vivere ancora 13 anni; morì, infatti, il 27 febbraio del 1591, subito dopo aver fatto innalzare a futura memoria, un’ultima stupenda testimonianza artistica che narra del mito di una città: il Teatro all’Antica. Gioiello di rara bellezza, questo fu il primo esempio di teatro stabile d’Europa non vincolato da strutture preesistenti. Nel maggio del 1588 Vincenzo Scamozzi, allievo del Palladio, reduce dai lavori di edificazione del Teatro Olimpico di Vicenza, disegnò per il duca Vespasiano il teatro di corte, che venne realizzato in due anni. L’elegante esterno è a due ordini: quello inferiore, con finestre, portali e spigoli contornati a bugnato poggianti su un alto zoccolo, e quello superiore, contraddistinto da lesene doriche binate, nicchie e finestre sormontate da timpani triangolari. Una fascia marcapiano reca l’iscrizione “ROMA QVANTA FVIT IPSA RVINA DOCET” (le stesse rovine insegnano quanto grande fu Roma), motto presente nel frontespizio di due dei sette libri di architettura scritti dal bolognese Sebastiano Serbo.
La sala a forma rettangolare è suddivisa in due quadrati separati dal breve rettangolo dell’orchestra: uno occupato dal palco e l’altro dalla cavea semicircolare. Un’innovazione è l’ingresso nel retro riservato agli artisti che permette l’accesso ai camerini. Sul palco sopraelevato trovava posto la scena fissa in legno progettata da Scamozzi, una prospettiva urbana, distrutta nella seconda metà del Settecento. Dell’impianto originale rimane l’elegante e armoniosa loggia, costituita da un colonnato corinzio sormontato da un coronamento statuario rappresentante le principali divinità dell’Olimpo.
Le statue degli dei e le raffinate modanature in stucco furono realizzate dallo scultore veneto Bernardino Quadri e dai suoi collaboratori su disegno di Scamozzi. Le figure dipinte a monocromo nella parete di fondo della loggia raffigurano degli imperatori romani e nelle nicchie sono inseriti quattro busti che ricordano la dea Cibele e tre antichi condottieri. I due grandi affreschi parietali riproducono archi trionfali all’antica, nei cui fornici centrali si aprono scorci urbani: a sinistra è dipinta la piazza del Campidoglio e a destra Castel Sant’Angelo. Roma è dunque la grande ispiratrice di tutta l’opera vespasianea. La trabeazione che sormonta l’arco di destra riporta la dedica all’imperatore Rodolfo II d’Asburgo che nel 1577 elevò Vespasiano al rango di duca. Gli affreschi che percorrono l’intero perimetro della sala, invece, simulano una loggia animata da musici, comici, dame e cavalieri, abbigliati secondo i costumi del tardo Cinquecento, con evidente richiamo allo stile di Paolo Veronese.
In sessant’anni Vespasiano riuscì ad armonizzare le attività di condottiero e di diplomatico, di architetto urbanista e militare, di legislatore e di statista, di dottissimo letterato e di appassionato mecenate. La sua tomba, collocata come da testamento presso la chiesa dell’Incoronata, venne aperta il 4 luglio 1988 durante i lavori di restauro della chiesa. In essa erano conservati i suoi resti ossei insieme a quelli di Anna, Luys, Giulia e uno scheletro senza testa di incerta attribuzione. Nel fango venne anche ritrovato il pendente del Toson d’Oro, che il duca aveva voluto con sé nell’ultimo viaggio, e oggi lo si può ammirare nel Museo di Arte Sacra della città custodito in una teca blindata. In seguito la figlia Isabella, nominata erede universale, andò in sposa a Luigi Carafa, dei principi di Stigliano. Dopo la loro morte, nel 1638 la fortezza di Sabbioneta passò alla nipote Anna Carafa, che la trasmise al figlio Nicola de Guzman, ultimo discendente di Vespasiano, il quale la resse fino al 1684.