Sebastiano Ricci, pittore bellunese (1659-1734) ha firmato nel 1724 una straordinaria tela di grandi dimensioni conservata all’interno della chiesa di San Marco in San Girolamo a Vicenza. La pala raffigura Santa Teresa d’Avila, riformatrice spagnola dell’ordine dei carmelitani, in preda all’estasi mistica in quanto colpita al cuore dalla freccia infuocata scagliatale da un angelo disceso dal cielo sopra uno svaporare di nubi.
La Trasverberazione di Santa Teresa, scolpita da Gian Lorenzo Bernini tra il 1647 e il 1652 in Santa Maria della Vittoria a Roma, costituisce indubbiamente il suo antecedente iconografico, tema assai ricercato dall’arte del XVII secolo, le cui componenti essenziali erano soprattutto la tensione spirituale e la carica emotiva e sensuale. Sia il turbamento causato dall’esperienza mistica dei santi piuttosto che il dramma profondo e tragico, esaltati durante la temperie della Controriforma, portarono gli artisti a tradurre questi nuovi stimoli in immagini.
Effettivamente le straordinarie figure di santi, tra cui emergono soprattutto Sant’Ignazio di Loyola e la già citata Santa Teresa d’Avila, entrambi canonizzati dalla Chiesa cattolica nel 1622, vengono indicati come guide spirituali al soprannaturale offrendo un fondamentale stimolo alle ricerche dell’arte barocca che esaltava il divino e la trascendenza attraverso una concezione scenografica dello spazio e la fusione delle principali arti che perderanno la loro unità a favore di un nuovo concetto di theatrum mundi, cioè l’esistenza dell’opera d’arte totale. Ma tornando alla descrizione del dipinto di Sebastiano Ricci, un olio su tela che misura 370×185, noteremo che si tratta di un capolavoro della pittura veneta del primo ventennio del ‘700 in cui la chiara impaginazione dell’evento è dominata dal moto ascensionale che viene accentuato dal levitare del corpo in totale abbandono di Santa Teresa, trasportata da tre angeli che la sospingono verso l’alto mentre ella stessa appare completamente tramortita.
In alto, due cherubini sorridenti si sporgono da una coltre di nuvole che partendo dal margine destro digrada verso il basso, quasi ad avvolgere il grande angelo a sinistra che con la freccia dalla punta infuocata trafigge il cuore della santa. Quest’ultima appare con la testa reclinata all’indietro, gli occhi socchiusi e coperta da un velo nero. Santa Teresa, dai piedi scalzi, indossa una tunica e uno scapolare di un intenso color marrone, stretta al collo dal bianco mantello e dal soggolo. Nell’estremo margine superiore della tela centinata, in penombra, appaiono due poderose colonne con i capitelli ionici che rappresentano simbolicamente il legame tra la terra e il cielo. In basso a sinistra vi è un altro angelo dalle forme morbide e leggiadre, semi inginocchiato, che con la mano dalle dita sgranate indica la Santa alla venerazione dei fedeli. Non manca nemmeno un inserto di natura morta abilmente rappresentata dal Ricci, soprattutto nel tragico Crocifisso fortemente chiaroscurato che poggia sopra un grande libro dalle pagine aperte e che invitano alla meditazione e alla riflessione. Sebastiano Ricci abbandona la componente tardo seicentesca del tenebrismo veneto (Giambattista Piazzetta e Antonio Balestra) a favore di una pittura aerea, veloce, tutta giocata sui cangiantismi e sugli effetti di morbidezza e setosità. Negli stessi anni si poteva ammirare a Vicenza un altro capolavoro ma questa volta del Piazzetta raffigurante l’Estasi di San Francesco per la chiesa dell’Ara Coeli. Confrontando le due pale, l’una del Piazzetta e l’altra del Ricci, notiamo lo stesso moto ascensionale e la stessa componente mistica e fortemente drammatica, un’eredità cospicua che diventa principale cifra stilistica e figurativa del primo ‘700 veneto.
Concludendo l’analisi delle componenti stilistiche del dipinto di Sebastiano Ricci non si può non far menzione di quello che rappresenta il precedente illustre di tutti questi capolavori dell’età barocca e rococò che hanno come soggetto l’estasi ed il tormento: la Maddalena in estasi di Caravaggio, opera probabilmente dipinta durante l’esilio nei feudi Colonna in Lazio, e di cui possiamo ravvisare le componenti iconografiche e stilistiche nella cosiddetta “Maddalena Klain”, attualmente in collezione privata a Roma.
Francesco Caracciolo – storico dell’arte