La Casa Museo Spazio Tadini ospita un’iniziativa unica in Europa. A Milano, infatti, ha aperto qualcosa che non c’era e non è un’invenzione, ma un modo diverso di guardare la fotografia sportiva: lo Sport Photography Museum.
Un’iniziativa unica a livello europeo che nasce da un’idea di Federicapaola Capecchi, curatrice di fotografia e coreografa che, grazie all’approfondimento sulla fotografia di uno dei più noti e richiesti fotografi dello sport a livello internazionale, Alessandro Trovati, ha rilevato il bisogno di presentare la foto di sport non solo come reportage, ma anche come valore: dalla cronaca all’espressione di valori dell’essere attraverso il corpo. Una considerazione e un’intuizione che non poteva che nascere dall’occhio di chi con il corpo ha lavorato attraverso la danza.
«Ho curato la prima mostra di Alessandro Trovati alla Casa Museo Spazio Tadini – racconta Federicapaola Capecchi – intitolandola “Lo sport in bianco e nero”. Una scelta, quella di togliere il colore, per favorire lo sguardo verso l’insieme dello scatto: la forma, il senso del gesto, il movimento, la composizione, la luce, il messaggio facendo scoprire una fotografia d’autore, di qualità e portatrice di stimoli».
Da lì il passo è stato breve, così curatrice e fotografo hanno pensato di estendere questo approccio ad altri fotografi del settore fondando lo Sport Photography Museum (www.sportphotographymuseum.com) per dare valore ad un mondo di immagini che rappresenta la storia di Paesi, di culture diverse, di conquiste, di libertà, di pace, di liberazione, di conquiste e stili di vita.
«Sono orgoglioso di poter dare voce alla fotografia sportiva, ai tanti miei colleghi che lavorano per immortalare atleti, emozioni, sfide – afferma Alessandro Trovati –. Dietro ogni fotografia sportiva c’è molto lavoro. Fatta la cronaca dell’evento, l’emozione prende il sopravvento e in macchina c’è sempre molto di più».
«È innegabile che nello sport ci sia storia, impresa, progetto – precisa Luigi Sordi, imprenditore e co-fondatore del museo – e lavoreremo anche per un archivio della fotografia sportiva». Beatrice Ravelli, consulente di progettazione culturale, anche lei cofondatrice del museo: «Stiamo incontrando l’interesse di diverse testate giornalistiche, aziende e istituzioni. I valori dello sport sono ampiamente condivisibili e contiamo nel supporto di chi crede nell’importanza di diffondere valori positivi di cui queste foto sono testimonianza».
Oggi lo Sport Photography Museum si trova in un’ala della Casa Museo Spazio Tadini dedicata all’artista pittore e scrittore Emilio Tadini (Milano, 1927-2002) ad indicare una sorta di continuità tra due mondi: sport e arte. Eppure di questo confine se ne parla fin dall’antichità. Torna alla memoria la storia del Discobolo di Mirone del 455 a.C. La scultura che rappresenta un atleta nel momento antecedente il lancio del disco: bellezza, armonia e prestanza fisica insieme. Un’opera per cui Hitler fece di tutto per entrarne in possesso eleggendola a simbolo della prestanza fisica della razza ariana. L’arte parla, il corpo parla. Come diceva Emilio Tadini “il corpo è segno e linguaggio”.
Ma dove finisce la bellezza e comincia l’etica? Circa la bellezza dovremmo fare un passo indietro. L’età greca vedeva nella perfezione fisica dell’atleta, la bellezza in quanto risultato di una relazione equilibrata anche con la mente. I vincitori erano ciò che più si avvicinava al divino. L’errore, l’imperfezione non era concessa. In età romana, Giovenale va oltre la visione dei greci e in“mens sana in corpore sana”, frase ancora oggi in uso, di fatto, il bello del corpo si allontana dal Divino per restare nell’Umano.
Col tempo la bellezza del corpo si è separata dalla “mens” per diventare altro. Pensiamo al bello nella moda, agli sguardi algidi dei modelli, quasi irreali, espressione di un distacco dall’umano dalle sue imperfezioni ed emozioni, dal corpo stesso (l’anoressia nelle modelle). Se spostiamo l’attenzione sull’arte, nei secoli possiamo notare che l’imperfezione è invece entrata a far parte del bello, quasi a cercare nella disarmonia una nuova estetica ed etica che si esprimesse attraverso l’esaltazione del diverso, il cui valore era rappresentato dal prendere le distanze, dallo scarto rispetto al modello e non sempre è stata portatrice di nuovi contenuti.
Circa l’etica, la “cultura del corpo” attraverso la ginnastica e le competizioni è stata sempre una forma importante di apprendimento, anche morale. Ai greci dobbiamo la nascita di parole come ginnastica da gymnos, agonistico da agon (lotta), atleta da athlos (sforzo). Termini che caratterizzano ancora oggi la terminologia sportiva, ma che non c’entrano con il senso della parola “sport”, il cui etimo è anglosassone e risale al ‘500 per indicare il divertimento e lo svago attraverso pratiche fisiche. Con lo sport, si scatenano le tifoserie, si alimentano business importanti che oggi raggiungono nuove vette anche attraverso gli e-sport, dove il coordinamento tra mente e corpo assume un nuovo valore e non certamente legato alla ricerca del bello, quanto al superamento del limite attraverso un’alleanza tra il corpo e la macchina ovvero il computer.
Ma pensiamo anche a quanto oggi sia cambiato il concetto di bello e armonico in relazione alle paraolimpiadi che rappresentano una nuova frontiera dell’atletica e dell’etica, un nuovo modo di pensare al corpo, ai suoi modelli, ai valori estetici precostituiti. Oggi, nella pratica sportiva vediamo non solo la conquista di una vittoria, ma anche la ricerca e l’affermazione di uno stile di vita sano e possibile.
Forse, oggi, non c’è solo bisogno di parlare di un nuovo rapporto tra uomo e ambiente, ma anche di un nuovo rapporto tra l’uomo e il suo corpo, ovvero con la sua stessa Natura. Il museo dello sport ne è l’occasione.
testo di Melina Scalise – giornalista
Di seguito, un piccolo omaggio Hall of Fame ad alcuni iconici scatti di fotografi sportivi storici come Carlo Borlenghi, Ercole Colombo, Giancarlo Colombo, Cesare Galimberti, Armando Trovati